Uno stato di ansia persistente, generalizzato e ingiustificato rispetto agli stimoli esterni rappresenta una condizione che difficilmente può trovare una interpretazione razionale: per quanto si tenti di spiegare ad una persona in preda all’ansia che non c’è nulla di cui agitarsi, o che la reazione emotiva che sta vivendo sia in sé qualitativamente giusta ma quantitativamente spropositata rispetto alla realtà esterna, nessun tipo di ragionamento o spiegazione sono in grado di infondere la giusta dose di serenità e lucidità, l’emozione rischia quasi di fagocitare la mente. Inoltre molto spesso accade che una persona notoriamente ansiosa di fronte a situazioni banali o comunque non stressanti, reagisca con piena lucidità e coerenza emotiva se messa di fronte a eventi realmente ansiogeni o pericolosi, che richiedono fermezza e sicurezza, agendo in piena contraddizione rispetto alla propria emotività. La prima considerazione che viene da fare è che l’ansia rappresenti una risposta irrazionale e disfunzionale da parte di una mente perfettamente funzionale ma annebbiata, che, al di fuori della condizione emotiva paralizzante, è perfettamente in grado di ragionare e individuare una modalità altra di funzionamento, più competente e adeguata alla situazione. Quindi le risorse razionali ed emotive ci sono, ma non vengono riconosciute, legittimate ed utilizzate. La rinuncia alle proprie capacità, e quindi ad alcuni aspetti vitali e funzionali del Sé, oltre a lasciare la persona esposta di fronte alle difficoltà della vita, la svuota di valore, perché si fa strada la convinzione di non essere in grado di funzionare adeguatamente, un’idea distorta che a sua volta alimenta la sfiducia in sé stessi. Tutto questo, purtroppo e inevitabilmente, rafforza la rinuncia a mettersi in gioco, creando un pericolosissimo circolo vizioso.
L’ansia assolve dunque ad una paradossale ma precisa funzione: copre, occulta e si sostituisce alle risorse funzionali della persona. Nasce spontanea la domanda “Perché”? Perché rinunciare ad affrontare una situazione di vita “normale”, quando si è riusciti a gestire problemi ben più complessi come sul lavoro, nello studio o in altri aspetti della vita. Ma siamo sicuri che il soggetto ansioso sia realmente consapevole delle sue reali risorse, o forse è lui stesso che le ignora e non le valorizza, rinunciando a sé stesso
e poi, in secondo istanza, ad affrontare la sua ansia? Certo è fuori discussione che l’ansia renda incapaci ad affrontare alcuni aspetti della vita, o perlomeno consenta di confermare questa ipotesi di incapacità, ma se mettiamo al centro della nostra analisi dei fatti non più il sintomo ma la persona che lo subisce, è possibile proporre un’altra lettura del problema:
Se il più grande dramma e timore di un individuo è quello di sentirsi impotente e incapace, sicuramente uno stato d’ansia potrebbe essere sia la naturale e tragica conseguenza di questa errata e irrazionale convinzione, sia la sua drammatica ma reale conferma. Una distorta immagine di Sé diventa dunque la Causa e l’Effetto dell’ansia.